Linguaggi sovrapposti: il cinemoda di Prada
Magari, un giorno, il valore della collaborazione – quindi di condivisone, confronto, complicità di idee – sostituirà per sempre ogni sorta di malata competizione. Se poi quelle idee giungeranno da ambiti remoti o apparentemente antitetici, il risultato non potrà che essere vincente, raggiungendo i massimi livelli di sperimentazione. Per fortuna, c’è chi questo l’ha già capito da stagioni e stagioni: gli opposti, insieme, collaborativi, equilibratori, funzionano molto più che un’entità sempre e solo uguale a se stessa, riflessa in specchi che non deformano, limitata nei suoi monotoni confini. Ieri e oggi, bello e brutto, ideali e vanità, il maschile che diventa femminile, il banale prezioso, il concettuale ironico: l’abilità sta nel tradurre e condurre tutto questo fuori e dentro la passerella, come solo l’ambivalenza della Signora Prada, maestra degli scontri e degli intrecci, può fare.
Lo testimoniano le mostre promosse dalla sua Fondazione, condotta assieme al marito Patrizio Bertelli dal 1995, mostre che permettono alla moda d’infiltrarsi liquida nelle fessure dell’arte, del teatro, della musica, dell’architettura e del design, fornendo ogni volta soluzioni originali e stranianti. Lo testimoniano le feconde collaborazioni con il cinema: Robert De Niro, Alejandro González Inárritu, Roman Polanski, Roman Coppola ma soprattutto, Wes Anderson coi suoi recenti cortometraggi Castello di Cavalcanti e Prada Candy L’eau.
Da citare è inoltre l’emblematico fashion film girato da Steven Miesel “Prada Candy Floreale”, esempio di ammirevoli commistioni estetiche: l’attrice Léa Seydoux, una volta abbandonati i capelli blu di La vita di Adele (2013), fluttua nella versione rivisitata della sigla di Futurama, circondata da un rosa fumettoso non così lontano dalle tipiche palette cromatiche di Anderson. Nella confezione del profumo Prada potremo ritrovarci perfettamente uno di quei dolcetti candy candy della Mendl’s, versione aggiornata degli ultra-inflazionati macaron francesi, nonché delizia per gli occhi in Grand Budapest Hotel (2014). Non a caso, Prada ha realizzato per la pellicola in questione un cappotto e un set di bauli da viaggio, rafforzando ancor più il circuito di rimandi, quindi mettendo seriamente alla prova le conoscenze dello spettatore, provato da un continuo allenamento visivo e mentale.
Ma il connubio tra luxury e cinematografia continua padroneggiando linguaggi inediti, attraverso la recente serie The Miu Miu Women’s Tales, i cui due ultimi film sono stati proiettati alla Mostra del Cinema di Venezia, appena lo scorso agosto: la prima mondiale di Somebody, diretto da Miranda July, che indaga sull’irritualità delle relazioni contemporanee, e Spark and Light, diretto da So yong Kim, dove viene sviscerato il rapporto madre-figlia in chiave onirica. Il progetto, composto da 8 diversi episodi, presenta caleidoscopici punti di vista sull’immaginario femminile, dove abiti e accessori entrano appieno nel tessuto narrativo come dettagli iconografici e al contempo mezzi di espressione e di rappresentazione del sé. Nonostante la liaison storica e triangolare donne-cinema-moda non sia certo definibile come una novità, Miuccia Prada, ogni volta, la rende tale: propone diverse letture, riflette sulle questioni di genere, crea ibridi, accosta discipline, rivoluzionando l’attitudine morphing del contemporaneo. O forse, prevedendo scorci di futuro.
Un discorso parallelo può essere incentrato, infine, sulla scelta dei testimonial Prada. Nella campagna Miu Miu Resort 2014, le protagoniste del sopracitato La vita di Adele, ovvero le neo-star Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos, sembrano recitarne il sequel davanti all’obiettivo di Inez van Lamsweerde e Vinoodh Matadin, scardinando il cliché dell’omosessualità femminile – che vuole la donna lesbica sciatta e mascolina – a colpi di sguardi fatali e tonalità infantili. Ma simili operazioni si ripetono soprattutto nelle campagne menswear; è come se Miuccia Prada si trovasse davanti a un’urna di nomi noti, riuscendo sempre a pescare i volti più simbolici della stagione, con un tempismo e una sincronicità senza uguali. Tra i tanti: Micheal Pitt per la SS12, Benicio Del Toro, Aaron Taylor, Harvey Keitel, Dane DeHaan per la SS13, Ben Whishaw, Christoph Waltz and Ezra Miller per la FW13 e ancora Dane DeHaan per la SS14. In particolare, per la sfilata FW 2012/13, uscirono in passerella Adrien Brody (N.B. nella corrispettiva campagna pubblicitaria è sostituito dal giovane Garrett Hedlund, lo ritroveremo nel cast di Grand Budapest Hotel), Gary Oldman, Jamie Bell, Willem Dafoe, Tim Roth (N.B. presente in sfilata e non in campagna pubblicitaria, ma già associato alla griffe nel 1996). Un turbinio di facce, attori-modelli e annessi sbalzi generazionali con cui Miuccia Prada sceglie di narrare la storia del proprio marchio, con l’obiettivo primario di creare una cultura condivisa, provando a contribuire alla comprensione della complessità in cui viviamo. Una complessità reale, mica come nei film…
Cecilia Cestari – Redazione Writing For Fashion #02
Source: cheerleaderofdarkness.blogspot.it, www.moda24.ilsole24ore.com, www.rivistastudio.com.
Ph. cheerleaderofdarkness.blogspot.it, www.goegeautiful.com.