Quadrature del cerchio: la perfezione su seta firmata Hèrmes

Di Mariangela Ricci – studente – Culture & Tecniche della Moda

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Il carré Hermès non ha sempre protetto i capelli del gentil sesso dal vento delle corse in Vespa o Torpedo Blu: nasce per trottare sui campi di battaglia di mezzo mondo, al “fianco” – o meglio, al collo – dei soldati napoleonici, e ci vorrà più di un secolo perché le cose cambino. Come spesso accade quando si parla di signore, ad essere importanti saranno innanzitutto le misure: nel 1937 si stabiliscono 90x90cm e, quasi contemporaneamente, si decide che si tratterrà di centimetri di seta. È Emile-Maurice Hermés a nascondersi dietro questo “si” impersonale, ma sarà Marcel Gandit, tessitore di Lione, a fornire l’ingrediente fondamentale per uno degli accessori più iconici del primo Novecento ed oltre: grazie al suo sistema brevettato, infatti, quel quadrato di stoffa sarà in grado di restituire in ogni dettaglio qualsiasi tipo di stampa. L’insieme dei Carrés Hermès è una Wikipedia su tessuto: decine di illustratori famosi hanno prestato la loro arte alla maison francese, rappresentando svariati soggetti, sicché ciascun foulard potesse interpretare una determinata tematica secondo il punto di vista e lo stile di ogni diverso autore. Così tra le sfaccettature della flora, della fauna e, soprattutto, dell’umanità, non poteva di certo mancare il circo, il più delle volte raffigurato come luogo privilegiato d’esibizione equestre. Scelta prevedibile perché coerente con una strategia di costruzione dell’immagine e dell’immaginario della griffe, che comprende costanti rimandi iconografici alle origini del prodotto, – ovvero all’epoca del capostipite Hermés, quel Thierry che era solo un produttore d’equipaggiamento cavalleresco.

Il primo esempio del sodalizio tra universo circense e “mondo possibile” del marchio Hermés è rappresentato dal foulard Chevaux de Cirque (1948), ad opera di Hugo Grygkar, che presenta una disposizione degli elementi rintracciabile anche nei casi successivi: all’interno di una struttura circolare e perimetrata, la figura umana tende ad occupare la parte centrale della composizione mentre gli elementi rimanenti – non solo i cavalli, ma anche eventuali decorazioni – si dispongono in modo concentrico. Nella rappresentazione di Grygkar tutto sembra indicare la conclusione dell’esibizione, dalla posa scenografica assunta dal domatore alla parata dei cavalli, fino all’omaggio di bouquet di piume; ma se la scelta delle nuance – dal marrone alle tinte pastello – concorre ad infondere una certa solennità, a sdrammatizzare ci pensano i quattro cavalli che squarciano il telo da cui erano nascosti, quasi a togliere al loro addestratore un po’ dell’attenzione e dell’applauso. Una nota giocosa, che diviene multipla e preponderante nel finale, è eseguita da Robert Dallet nel suo En piste (1998/99), nonché preservata in ogni variante colore: merito di una resa meno naturalistica e del tripudio di pose dei cavalli, dall’andamento simmetrico. Ma simmetria e stilizzazione non sempre privano di magnificenza quanto si prestano a raffigurare: lo ben esemplifica l’ultimo fazzoletto, lo splendido Cirque Molier (1983) di Philippe Dumas. Paradossalmente, infatti, non è tanto l’arena – con una plausibile eterogeneità di situazioni – ad essere il pezzo forte della composizione, quanto il contorno: una platea che sembra rappresentare il mondo intero, grazie al perfetto bilanciamento di generalizzazione e differenziazione. In tutti i casi, nulla da aggiungere o da togliere: quadrature del cerchio, oltre la grafica.

 

Source: www.wikipedia.it; Ph: www.obsessionistas.co.uk