Gli anni ’60: guardare al passato per affrontare il futuro
2012. Si era detto che il mondo sarebbe finito il 21 Dicembre. Io penso che la fine è cominciata nel momento in cui l’uomo decise di pensare più a stesso che al mondo che lo circonda. Non è sempre stato così: c’è stato un tempo in cui lottare per un mondo migliore non era solo un sogno, un’utopia, ma era realtà. Un tempo in cui arte, musica e moda si incontrarono costruendo le basi per una nuova coscienza cosmica: gli anni Sessanta.
Nella prima metà degli anni Sessanta nuovi personaggi cominciano ad affacciarsi al capezzale della storia. Individui capaci di pensare, volere e agire: i giovani. Uno dei movimenti base era rappresentato dai capelloni. I capelli divennero portatori di un messaggio insito nella speranza nel cambiamento che Pasolini descriverà come un linguaggio silenzioso che non necessitava di parole. Non sempre, però, i giovani venivano apprezzati.
Il cambiamento riguardò anche la moda. Londra divenne la culla delle novità a partire dal 1956 con l’avvento della Swinging London che incontrò il suo apice con l’anticonformista Mary Quant e la sua rivoluzionaria minigonna, indossata per la prima volta dalla modella ed icona di stile Twiggy. In Inghilterra assistiamo alla nascita delle subculture che proprio attraverso la moda riuscivano ad esprimere se stesse come nel caso dei Mod e dei Rocker.
Con lo scoppio della guerra del Vietnam prende vita un’ulteriore rivoluzione: quella degli hippie, caratterizzata da un abbigliamento che verrà definito “anti-moda”. Un fenomeno nato come opposizione al consumismo e all’omologazione che vede al suo finale un capovolgimento tipico di un soggetto mutevole quale è la moda.
Le ideologie insite dietro un capo di abbigliamento muoiono nel momento in cui vengono chiuse nel prodotto di mercato. Gli anni ’60 furono un importante periodo di mutamento sociale da cui dovremmo prendere ispirazione in un momento critico della storia come il nostro. Non dal punto di vista di un abito se dietro di sé c’è il vuoto. Non indossando un eskimo se al suo contatto non si viene assaliti dalla voglia di cambiare il mondo, che cambiarlo non è facile.
Giunta alla conclusione mi torna in mente una parte del monologo finale di un film: “Derek dice che bisogna sempre terminare una tesina con una citazione, dice che c’è sempre qualcuno che ha detto una cosa nel migliore dei modi, perciò se non riesci a fare di meglio ruba da lui e farai la tua figura”. Ecco perché al finale concluderò con una frase di Abbie Hoffman, attivista politico e sociale statunitense, in riferimento alle contestazioni di quei magnifici anni per ricordare che “la rivoluzione è un processo perpetuo insito nello spirito umano” e che soltanto attraverso la lotta per un mondo migliore potremmo ottenerlo.