History of Fashion Show – Iconic Moments
Prima della fine dell’Ottocento, la circolazione e la diffusione delle ultime tendenze, per lo più parigine, aspettava alle antiche tavole dipinte su legno, agli almanacchi, alle poupées de mode o ai figurini dei neonati periodici femminili. Fu Charles Frederick Worth a introdurre l’invenzione della sfilata; il primo couturier a non essere più considerato un mero esecutore, ma un artista, arbitro d’eleganza, decise infatti di far sfilare i suoi modelli in anticipo rispetto la stagione, ad apporre all’interno degli abiti le etichette con la sua griffe, a utilizzare le indossatrici per presentare le sue collezioni. Worth, padrino dell’haute couture, non si sarebbe mai potuto immaginare il successo, i risvolti e la durata vigente della sua operazione. I defilé rimangono tutt’oggi la forma primaria scelta per comunicare le proprie collezioni, basti pensare alle oltre 70 fashion week organizzate due volte l’anno in giro per il mondo. La passerella come palcoscenico indiscusso della moda possiede pertanto una propria evoluzione, una storia di cambiamenti, di pose, di scenografie, di abitudini e prime file. Ma quale sarà la sfilata del futuro? Si potrebbe rivolgere la domanda a Vanessa Beecroft, artista brillante che dal concetto di catwalk – tra modelle bulimiche e volti omologati – ha tratto performance dal carattere sociale, ma è più semplice soffermarsi sulle parole che Anna Wintour ha rivolto ai giovani studenti della Central Saint Martins School quest’ultimo giugno: “Please listen to me when I say: an interesting creative presentation is just as effective as a fashion show. I see people who are paying hundreds of thousands of dollars on fashion shows, which I simply don’t think is necessary. A presentation gives us all an opportunity to meet you, rather than to go and sit in some dark room somewhere and wait for you to start; then [have] no time to say hello, and rush off to the next one.“. Che l’esistenza dei defilé si stia per concludere? Troppo dispendiosi, troppo ripetitivi, artisticamente limitanti se ci si confronta con le infinite possibilità che le nuove forme di comunicazione ci offrono. Così, mentre aspettiamo di intravedere e di vivere il domani, Writing For Fashion ripercorre alcuni momenti iconici inscenati sulle passerelle internazionali di ieri e dell’ultimo decennio.
Gli spettacoli di Paul Poiret
Il “sultano della moda” fu il primo a portare i defilé fuori dagli atelier parigini, trasformandoli in spettacoli di grande effetto e organizzando nel 1912 una tournée nelle principali città europee per presentare i propri modelli. Poiret è ricordato per il suo temperamento megalomane e per le sue sontuose feste: la più grandiosa rimane La féte de la mille et deuxième nuit, ballo in maschera organizzato il 24 giugno 1911 nel giardino della sua maison, dove sfilate e performance teatrali si alternavano a colpi di orientalismi e Ballets Russes.
Giorgini e la Sala Bianca
Il nobile Giovanni Battista Giorgini è considerato il padrino della moda italiana, in quanto a lui si deve la riuscita della prima sfilata collettiva nazionale nel febbraio del 1951, organizzata nella sua dimora fiorentina, a Villa Torrigiani. Il First Italian High Fashion Show, per cui sfilarono 13 case di moda davanti agli occhi dei buyer e della stampa internazionale, diede il via al successo della moda boutique italiana, la quale continuerà a essere celebrata ogni anno, a partire dal 22 luglio 1952, nella prestigiosa Sala Bianca di Palazzo Pitti.
Il Burqa di Hussein Chalayan
Il ‘Burqa’ show (1996) di Hussein Chalayan è probabilmente una delle performance più provocatorie del designer. Ridefinendo l’idea di modestia, identità e femminilità, Chalayan fece uscire in passerella sei indossatrici con il burqa, capo largamente discusso dalla società Occidentale, soggetto a più e diverse interpretazioni, da veste religiosa a simbolo dell’oppressione patriarcale. In questo caso, un burqa sempre e progressivamente più corto, accorciato al punto da lasciare scoperta, eccetto per i sandali ai piedi e il volto velato, l’ultima modella.
Abito e corpo secondo Rei Kawakubo
‘Dress Meets Body, Body Meets Dress‘ è il titolo della dibattuta collezione S/S 1997 di Comme Des Garçons. Con l’intento di esplorare il rapporto tra spazio e volume, la designer giapponese Rei Kawakubo portò in scena creazioni deformate da imbottiture e bubboni rigonfi, applicati sul retro, sulle spalle e sui fianchi. La critica rimase perplessa, definendo quegli abiti “tumor dress” o silhouette da “Quasimodo”.
Carol Christian Poell inzuppa i modelli nel Naviglio
Nel luglio 2003, l’austriaco Carol Christian Poell presentò la sua collezione maschile S/S 2004, intitolata ‘Mainstream Downstream’, facendo fluttuare nelle acque del Grande Naviglio di Milano 17 modelli volontari all’ora del tramonto. Nonostante gli abiti fossero inzuppati e non chiaramente distinguibili, sembravano formare le immagini acquarellate di un ammuffito ma meraviglioso libro antico, la pagina di una moda che combatte lo stream con l’arma della creatività. Qui il video: vimeo.com/29542519.
Alexander McQueen e l’ologramma di Kate
“L’unico designer in grado di realizzare collezioni che colpivano emotivamente gli spettatori, rendendoli di volta in volta felici, tristi o disgustati” ricorda la nota stylist Isabella Blow, talent scout del genio inglese prematuramente scomparso. Le sue parole hanno totale conferma quando ci si immerge nei fashion show di McQueen preservati dalla memoria di youtube. Tra tutti, la sfilata parigina A/I 2006 dove una “rinata” Kate Moss, reduce dallo scandalo cocaina, chiude la collezione comparendo in un filmato-ologramma come un fantasma accompagnato dalle struggenti note di Schindler’s List. Qui il video: www.youtube.com.
Colore ed hip-hop per Rick Owens
Per presentare la linea ‘Vicious’ in occasione della Paris Fashion Week Spring 2014, Rick Owens ha portato in passerella la cultura americana da ghetto. Protagoniste sono state 40 ballerine di hip-hop reclutate da quattro squadre miliari: Washington Divas, Soul Steppers, The Momentums, The Zeta. Una performance queer che va al di là dei rigidi schemi del fashion – dove le modelle sono sottili sottili, composte e impassibili – e che ha trasformato un convenziale catwalk in danza guerriera, all’insegna di un empowerment femminile. Qui il video: www.youtube.com.
Cecilia Cestari – Redazione Writing For Fashion
Source: 1granary.com, nymag.com, www.moda.san.beniculturali.it.
Bolton A. (ed.) (2011), Alexander McQueen. Savage Beauty. The Metropolitan Museum of Art, Yale University Press, New Haven-London.