Ipse dixit – Umberto Galimberti

Carnevale di Venezia 2008

Senza la fatica di essere, la moda compie il miracolo per cui è sufficiente vestirsi per essere quello che non si è. […] Moltiplicando le persone in un solo essere, la moda dà un saggio della sua onnipotenza, recupera il tema ancestrale della maschera, attributo essenziale degli dèi, e la offre agli uomini. Moltiplicando le persone senza rischio, perchè il gioco delle vesti non è il gioco dell’essere, la moda scherza col tema più grave della coscienza umana, il tema dell’identità. […] Come sempre accade, si gioca a quello che non si osa essere. E attraverso la moda si può giocare al potere politico perchè la moda è monarca, a quello religioso perchè i suoi imperativi hanno il tocco del decalogo, si gioca alla follia perchè la moda è irresistibile, alla guerra perchè è offensiva, aggressiva, e alla fine vincitrice.

Umberto Galimberti, “Quando l’abito diventa simbolo” da “La repubblica”, 20 agosto 2005

In alto: fotografia scattata da Mauro Del Magna al Carnevale di Venezia, febbraio 2008.

La fotografia ritrae una maschera femminile del carnevale, antica festa in cui l’ordine viene soppiantato dal caos, la verità dalla menzogna, l’essere dall’apparire. Si attende ansiosamente questa festa per giocare ad essere, un giorno all’ anno, ciò che realmente non si è. Da sempre, durante questa ricorrenza, i ricchi diventano poveri ed i poveri ricchi, i padroni servi ed i servi padroni, i re vengono umiliati ed i pazzi riveriti. Quello di giocare con l’apparenza è un eterno bisogno di evasione intrinseco nella natura umana. E così con il carnevale ogni cosa si rovescia nel suo opposto e l’ordine sociale è sovvertito.

Michail Bachtin, critico letterario russo, nel suo saggio “L’opera di Rabelais e la cultura popolare” dedicato alla serie rabelaisiana Gargantua e Pantagruel scrive a riguardo:

« Tutti venivano considerati uguali durante il carnevale. Qui, nella piazza della città, una forma speciale di contatto, libero e familiare, regnava tra le persone che di solito erano divise dalle barriere della casta, del reddito, della professione e dell’età. »

Chiara Caroli