Intervista a Michela Gattermayer – Guido Mayall e Asia Grifalconi – Corso Brand di moda
Michela Gattermayer è una delle giornaliste italiane di moda più influenti ma non solo, anche scrittrice e stylist. Fra i tanti periodici in cui ha lavorato, da direttore o da vicedirettore, compaiono anche Elle, Velvet, Gioia.
Guido Mayall e Asia Grifalconi, della redazione di ZoneModa, hanno intervistato Michela durante la lezione di Brand di Moda della Professoressa Celeste Priore.
Michela ci ha portato alla scoperta del boom della moda italiana anni ’80, tramite aneddoti e testimonianze, fino ad arrivare al Made in Italy che conosciamo oggi.
Ma partiamo dall’inizio.
Come nasce la sua passione per la moda e per il giornalismo?
Come spesso succede la famiglia in cui nasci un po’ ti influenza. Il mio papà aveva un’agenzia di pubblicità, mia mamma faceva la giornalista per cui noi avevamo tutta la settimana la casa invasa da giornali ed io sin da bambina amavo leggere a tal punto che ogni sabato mi mettevo sul divano e leggevo tutto quello che arrivava a casa. Dai giornali femminili ai quotidiani mi piaceva tantissimo leggere i giornali. Questa cosa mi è sempre rimasta nel DNA. La mia mamma faceva anche la stylist quindi andavo anche nei set fotografici.
La moda non era una passione, però mi emozionavo quando compravo un vestito nuovo.
Io sono una bambina degli anni ’60. Con le mie sorelle ci vestivamo da “marinarette”.
Era tutto un altro mondo non c’era il consumismo. I jeans se si bucavano alle ginocchia solitamente si tagliavano e si ricavavano dei bermuda.
I primi anni di lavoro, ma anche al liceo, quando mi davo da fare facendo ripetizioni e la babysitter, avevo sempre dei soldi in tasca con i quali alcune volte compravo dei vestiti nuovi perché comunque mi piaceva avere cose nuove.
Quando ho fatto la maturità, la mia mamma era venuta a mancare quell’anno lì, siccome la seguivo sempre sul set e sapevo come muovermi mi chiesero di dare una mano come assistente e ho iniziato del tutto casualmente. Mi ero iscritta all’università però poi il lavoro è esploso quindi ho deciso di abbandonare.
Com’è intraprendere una carriera nel mondo del giornalismo?
Premetto che il mio è uno dei lavori più belli del mondo alteimenti non lo farei. Perché quando ho iniziato io, avevamo la possibilità di fare ciò che ci piaceva, negli anni ’80 era facile trovare lavoro.
Ho iniziato facendo la redattrice di moda e la stylist, poi mi sono resa conto che mi piaceva molto di più il lavoro in redazione, rinunciando magari a uno stipendio maggiore, visto che la stylist faceva tanti film, tantissime campagne pubblicitarie. Non ho mai abbandonato definitivamente il lavoro da stylist, tuttora mi capita di fare delle campagne pubblicitarie.
Il mondo del giornalismo è cambiato, prima c’erano dei fattorini che consegnavano foto e articoli da mandare in stampa, l’avvento del fax è stata una rivoluzione.
Prima era un mondo più artigianale, mi capitava di aiutare i grafici a tagliare le foto altrimenti non facevamo in tempo a pubblicare.
Adesso con il computer possono fare tutto e inviare allo stampatore direttamente.
Ho iniziato subito dopo la maturità da Italian Fashion, un giornale che purtroppo non c’è più.
La mia grande fortuna è stata iniziare in un giornale piccolo, così ho potuto imparare a fare di tutto, da dare una mano ai grafici a fare le foto.
Dopo qualche anno, andai in Mondadori in un giornale chiamato Linea italiana, che poi negli anni divenne Marie Claire. Da lì verso la metà degli anni ’80 andai in un altro giornale chiamato Donna, che era probabilmente il giornale più interessante di quegli anni. Scrissi il mio primo numero su Laura Biagiotti che apriva un campo da golf. Lo intitolai: “non è di cashmere ma è pur sempre un golf”, l’idea piacque tantissimo e cominciò la mia scalata come giornalista in una rivista importante.
Curai un giornale chiamato New Moda, che parlava delle tendenze giovanili, in quell’occasione un mio amico, che abitava a Los Angeles mi inviò una cassetta di Madonna, che all’epoca non era famosa, alla fine organizzammo un’intervista.
Quando la Rizzoli portò Elle in Italia, in Francia era un settimanale e in Italia decisero di fare un mensile. In quell’occasione il vicedirettore di Donna fu incaricato di fare il direttore di Elle, qui nacque la collaborazione con Elle.
Mi colpì molto il livello internazionale di questa rivista, non c’erano limiti geografici, avevano più regole, perché il direttore non era il proprietario dell’azienda.
Non c’era internet per parlare con gli stilisti e vedere le collezioni bisognava andare di persona. Non c’erano rubriche che parlavano di più temi come musica, arredamento, la moda. Le inventammo noi. Non c’era più rigidità nei temi, perciò facevo tante ricerche anche di nomi nuovi.
In passato conobbi Dolce & Gabbana, erano due “scappati di casa” della mia età, che facevano belle magliette bei maglioni, poi il mondo ha riconosciuto il loro valore, ma avevano iniziato senza soldi, ci sono voluti degli anni mentre adesso con il mondo che va così veloce o esplodi subito oppure non esplodi più.
Dopo Elle, Mondadori mi chiamò per far una rivista di arredamento visto che mi occupavo anche di design. Successivamente mi presi una vacanza, visto che era giugno e non avevo mai fatto più di 15 giorni di vacanza.
Il 15 agosto ricevetti una chiamata da La Repubblica.
All’inizio volevano fare un giornale di arredamento, ma dopo un incontro mi dicono che vogliono fare un giornale di moda, da lì mi ritrovai ad inventare un giornale, Velvet.
Chiamai miei due ex colleghi per realizzare un progetto in cui ci volevamo divertire e inventare qualcosa di nuovo. Nacque una redazione molto bella e brillante.
Dopo sette anni, Vanity Fair mi contattò, ero molto interessata a lavorare in un settimanale così accettai. Lavorai lì per un anno e nel 2012 passai alla rivista Gioia.
Lei ha collaborato con Lapo Elkann alla stesura del libro “le regole del mio stile”. Il Signor Elkann viene spesso definito l’enfant terribile del design, un innovatore che sta diventando un riferimento nel mondo del Made in Italy. Come nasce questa collaborazione?
All’inizio volevano fare un libro su di lui con una piccola casa editrice torinese. Avevano chiesto a vari giornalisti soprattutto di sport, ma dopo 15 giorni fuggivano perché Lapo era ingestibile. Acevo conosciuto Lapo in vari eventi, ma non pensavo lui si ricordasse di me, invece mi chiamò un mio amico che conosceva Lapo e mi disse che lui voleva conoscermi, ma avevo un incontro di lavoro, caso vuole che l’appuntamento di lavoro era alla porta accanto all’abitazione di Elkann a Milano.
Dopo l’incontro andai a casa sua, una casa un po’ pazza, divertente, da lì cominciai la mia avventura. Lui è una persona molto carina ed educata.
Quando gli facevo una domanda parlava di tutto. Dissi che fare un libro biografico su di lui sarebbe stato rischioso, perché la gente si sarebbe interessata solo ai suoi fatti personali, proposi l’idea di fare un libro sul suo stile. L’idea piacque a tutti e da lì realizzammo un libro sullo stile del Lapo.
Un consiglio che vuole lasciare a noi studenti?
Penso che per fare qualsiasi lavoro ci voglia curiosità, non bisogna solo documentarsi su internet, ma andare anche fisicamente nei posti. L’esperienza fisica fa la differenza.
È molto importante avere vari strumenti di informazione per sviluppare la propria, ormai viaggiare è diventato facilissimo.
Sono sempre stata una sostenitrice della creatività, dell’idea di fare cose diverse dagli altri. Non basta solo la passione per la moda. I bravi si riconoscono, bisogna uscire dalla massa.
Non bisogna essere troppo veloci, ma prendersi il giusto tempo altrimenti si perde la qualità.
Il mio consiglio è studiare, informatevi tanto per sapere tante cose, non fermativi mai.
Siate un po’ più spiritosi, tranquilli e più liberi.
Per fare le cose belle bisogna anche imparare a riconoscerle.
La strada migliore è fare gavetta, anche sbagliare e imparare, avere un bravo maestro è fondamentale.
Non tutte le cose sono facili.
Soprattutti, non siate presuntuosi.
di Guido Mayall e Asia Grifalconi