Il racconto della moda tra empatia e contaminazioni

 

| Estetica e Culture del Novecento | Giovanni Matteucci

lezione speciale con Elisa Fulco

14 febbraio 2020, ore 15-17

Aula Alberti 13

Sede Alberti – Piazzetta Teatini 13

Università di Bologna – Campus di Rimini

Elisa Fulco, storico dell’arte, si occupa di valorizzazione di marchi storici e di responsabilità sociale d’impresa, curando mostre e progetti di comunicazione e di formazione che mettono in relazione impresa, cultura e sociale. Curatrice della Fondazione Borsalino dal 2007 al 2012, attualmente collabora con Max Mara e ha di recente curato un fascicolo della rivista “Economia della Cultura” (ed. Il Mulino) dedicata all’Umanesimo industriale.

ZONEMODA

#zonemodasocial

Comprendere la complessità e dargli una forma: gli strumenti chiave per
raccontare la moda in modo efficace

– Intervista ad Elisa Fulco by Irene Coltrinari

Raccogliere, editare ed artificare, ma anche archivi e cultura. Queste le parole chiave alla base della lezione speciale del 14 febbraio 2020 dal titolo “Il racconto della moda: tra empatia e contaminazioni”, tenuta dal professor Giovanni Matteucci e l’ospite speciale Elisa Fulco.

La dottoressa Fulco è un eclettico storico dell’arte, che si occupa di valorizzazione di marchi storici e di responsabilità sociale di impresa. Curatrice della Fondazione Borsalino dal 2007 al 2012, ad oggi collabora con Max Mara e ha recentemente curato un fascicolo della rivista “Economia della Cultura” (ed. Il Mulino) dedicata all’Umanesimo industriale. Con la sua professionalità e chiarezza ha guidato la classe a comprendere alcuni tasselli importanti per la costruzione di identità e visione di impresa, elementi che spesso si perdono nelle dinamiche economiche, considerate ancora ad oggi più importanti dell’aspetto culturale. E non c’è niente di più sbagliato. Infatti nel contesto moda, non si parla solo di commercio, ma bensì di identità, d’arte, di creatività, di collettività, che creano cultura e anche profitto. Come si ottiene questo circolo virtuoso per le aziende del settore? Quali sono gli spunti da cogliere da questo approccio virtuoso?

Qui di seguito ZONEMODA ha posto delle domande alla dottoressa Fulco per non perdere traccia delle sue preziose parole, farne tesoro per il corrente percorso universitario, e perché no, anche per il futuro. 

Lo strumento che ha citato più spesso durante la lezione di venerdì 14 è l’Archivio. Quali e quante sono le casistiche in cui sfogliare gli archivi crea vantaggi e opportunità per la moda? 

“Le aziende che hanno degli archivi hanno un valore spendibile nel mercato e nelle uscite comunicative e di progetto. Avere un archivio significa avere uno strumento che può essere utilizzato a fini di comunicazione: da esso possono far partire produzioni editoriali, mostre etc. Quando si ha disposizione un archivio si ha una storia, che può essere utilizzata come uno strumento di coesione sociale per la comunità. La storia di un brand crea una CULTURA D’IMPRESA, un valore che va rafforzato attraverso produzioni culturali. Ovviamente l’archivio è anche uno strumento di business che rende finanziariamente più sicura l’azienda: esso fa aumentare la reputazione del brand, cioè come l’azienda opera, ed essa vale di più del prodotto in questo momento storico, e costituisce più del 40% percento del valore del brand. Ecco perché la cultura, il clima aziendale, le politiche di sostenibilità e di valorizzazione della storia, hanno un valore economico. Proteggere e valorizzare la storia ha delle ricadute concrete sul business. Tutto questo è possibile tramite la creazione di eventi culturali che invoglino e soddisfino il pubblico a frequentare mostre ed happening in cui il sogno di una casa di moda ed i suoi valori vengono raccolti, rielaborati ad hoc ed artificati creando qualcosa di completamente nuovo e stupefacente, nonché incredibilmente redditizio. Basti pensare a “Christian Dior, couturier du reve”, che ha collezionato incassi record lo scorso anno. Fare cultura non significa non fare business, anzi. L’investimento in cultura spesso e volentieri viene considerato un investimento a perdere, mentre ormai i dati dimostrano che tramite una dimostrazione di merito la cultura gioca un ruolo chiave nella differenziazione e posizione del marchio in un certo campo. Il brand guadagna totalmente dalla cultura. Su tutta l’azienda ricade l’effetto positivo di un’immagine e d’una identità rafforzata. E’ necessario uscire dalla scissione netta tra commerciale e culturale. L’archivio di un’azienda di moda, come può essere Max Mara, ha già un valore culturale all’interno e quando lo si mette in gioco, si attua un racconto culturale che narra il cambiamento dell’azienda, del gusto, dello stile e al contempo della società e delle visioni del tempo a cui la storia è legata. Quando si esce dagli specialismi di settore e si crea un evento dal grandissimo potenziale narrativo e capacità di attrazione di nuovi pubblici.”

A questo punto sorge una domanda spontanea. Le aziende già affermate, che hanno una storia e cultura forte sono avvantaggiate, ma le aziende neonate, come possono far cultura e differenziarsi in un panorama ricco, stracolmo e forse oberato di concorrenti?

“Sveliamo l’arcano. C’è da dire che non tutte le aziende già affermate utilizzano gli archivi nel modo giusto ed efficace agli interessi del marchio. L’archivio può essere utilizzato come leva di cambiamento, di trasformazione e di valorizzazione. L’errore che avviene spesso, soprattutto in aziende già ben posizionate, è che siano talmente concentrate a trarre più profitto possibile dall’eredità passata che si dimentichino di documentare il presente. E’ vitale lavorare con un’ottica di archivio in continuo sviluppo ed aggiornamento, al fine di documentare il presente creando una sostenibilità di archivio. Questo principio vale anche per le aziende neonate, a patto che riescano a creare una storia, che a questo punto non è un racconto di un passato ma una visione credibile di chi si è e di cosa si vuole fare. La visione in questo caso diventa lo strumento ed il valore centrale su cui investire per i marchi che nascono nella folle giungla del mercato odierno. La visione dovrebbe tradurre in azioni, investimenti e produzioni la propria idea, non è escluso che un nuovo marchio possa puntare tutto sulla sostenibilità, sia sociale che ambientale, e quindi creare dei valori sin dalla sua nascita per posizionarsi e differenziarsi da altri concorrenti sul mercato, che hanno finalità diverse e nessuna visione sul piatto. Trasmettere dei valori è un comandamento. Trasmettere valori è uno strumento efficace per fare la differenza”

Abbiamo parlato tanto di citazioni, artificazione ed editing di contenuti in contesto artistico e non. La moda che prende in prestito dall’arte contemporanea, i remake e le collezioni nostalgiche degli anni 90 oggi sono più vive che mai, e fanno pensare: “ma sono per caso finite le idee?” Come, secondo lei, è possibile innovare artisticamente al giorno d’oggi?

“Non bisogna inseguire il nuovo in quanto nuovo, ma bisogna innovare partendo da un’analisi di contenuto. Bisogna riuscire a capire in che modo è possibile aggiungere valore ad un contesto portando ad esso un collegamento estetico, ma non c’è una ricetta giusta per tutto. Artificare un contenuto moda può essere ripensare uno spazio di retail per farlo diventare uno spazio di condivisione, può significare aggiungere elementi di riqualificazione ambientale in un ospedale o ancora inserire dei processi artistici in contesti che hanno un’altra vocazione come può essere una struttura penitenziaria in cui l’arte rappresenta un processo creativo che modifica le relazioni e non gli ambienti. Artificazione significa aggiungere valore a contesti che per loro natura non sono sviluppati artisticamente. Reindirizzare, editare, investire di significato, di senso luoghi opere e contesti che necessitano di racconti nuovi può significare innovare in maniera sostenibile.”

Cosa consiglierebbe ad uno studente di moda interessato ad intraprendere il suo percorso? La sua figura professionale è complessa tanto quanto stimolante e interessante: cosa le ha fatto imboccare la strada sulla quale ora corre?

“La mia è una figura ibrida. Un lavoro di curatore, che richiede l’amore per la complessità e la capacità di vedere i collegamenti tra diverse discipline, ma anche un approccio molto personale in cui la curiosità è fondamentale. Sono di formazione uno storico dell’arte contemporanea che è entrato molto presto a contatto con la cultura di impresa, che ha cercato in qualche modo di portare il linguaggio dell’arte contemporanea nelle imprese storiche, generando una specie di corto circuito capace di ragionare sull’archivio in chiave contemporanea. Questo tipo di approccio ha generato un’innovazione, nel processo di costruzione dei progetti nei quali ero coinvolta. La mia figura lavorativa è il prodotto di esperienze molto diverse tra loro in cui sono stata capace di tenere in mano un filo rosso, che collegasse con continuità tutti i miei lavori. E’ un lavoro che può avere sviluppi futuri perché non è più possibile pensare per discipline, come ho detto in precedenza. Questo mio mix di competenze ed esperienze è l’elemento che mi caratterizza, grazie a cui riesco a vedere e a mettere a contatto collegamenti tra le discipline, generando curiosità ed effetti innovativi. La moda non è solo moda, l’arte non è solo arte e l’economia non è più solo economia. Questi mondi necessitano di confronti. La futura formazione di un ipotetico studente richiesta per approcciarsi ad un mestiere come il mio deve tenere conto della complessità e delle esperienze da collezionare lungo la strada. Chi riesce a stare tra le cose, e non ragiona per compartimenti stagni potrà accedere a mansioni che stanno prendendo forma in questo momento storico anche se al momento non esistono corsi di laurea. Protagonista di questo mindset è una forte base culturale di contenuto, declinata secondo il concetto di multidisciplinarietà ed inter-settorialità. Nel mercato italiano regna ancora il presidio del settore, la riconoscibilità ed il mono-tema specialistico premiano e danno sicurezza. Se sono una specialista di moda medievale, ogni qual volta si progetterà una mostra di moda medievale il mio nome sarà quello che spicca immediatamente nella mente degli organizzatori. Questo è un approccio lavorativo che sta però crollando, perché in tutti i settori avere delle lacune provenienti dalla specializzazione unica ha un prezzo.”

Se dovesse lasciare un messaggio ai nostri studenti, cosa direbbe loro? 

“Innanzitutto li avvertirei che non capire delle dinamiche di contesto spesso è uno svantaggio. Al mondo sono necessari sguardi diversi che convivono. E questo fortunatamente è prevenibile con la cultura, che è lo strumento più potente in tutti i campi. Il background culturale ad oggi è fondamentale, è quello che ci permette di studiare economia, psicologia, marketing, storytelling contemporaneamente e con la capacità di farli dialogare tra loro. La formazione umanistica dà un modo di guardare alle cose più olistico, capace di mettere insieme i pezzi. L’aggiunta di competenze rende viva e dona valore aggiunto ad una carriera. Dunque confrontatevi con più mondi, non precludetevi dei confronti con altre discipline e non abbiate pregiudizi rispetto al nuovo. Altrimenti rischierete di perdere delle occasioni di crescita e di comprensione dei contesti. La vera sfida oggi è comprendere la complessità e dargli una forma.” 

La diversità, infondo è la parola chiave del 2020. Il diverso è tale fino a quando non si trovano gli strumenti giusti per comprenderlo e dargli spazio. E chissà che anziché diverso lo scoprissimo solo nuovo, rendendoci conto che prima non avevamo gli occhi adatti per capirlo.

Un sentito grazie alla dott.sa Fulco per la disponibilità e la verve dinamica avuta nel suo promulgare i suoi preziosi saperi. 

Irene Coltrinari

MA Fashion Studies Unibo

elisfulco@gmail.com