CLAM – FAST: L’opera fotografica di Paolo Roversi – Paolo Roversi Photography

| Università di Bologna | Corso di Laurea in Culture e Pratiche della moda | Second Cycle Degree in Fashion Studies
| Contemporary Fashion – Fabriano Fabbri
| Storia e idee della fotografia – Federica Muzzarelli


Paolo Roversi

8 Maggio 2023
ore 15.00

Aula Alberti 13
Piazzetta Teatini, 13

Rimini

L’opera fotografica di Paolo Roversi da cinquant’anni ad oggi contraddistingue il panorama mondiale della fotografia di Moda.

Studio Luce, il nome dello studio fotografico di Parigi incarna la poetica del grande fotografo, il quale trae la principale fonte di ispirazione dall’essenzialità delle opere del pittore Morandi, dal séntiment de la lumière di Nadar e dal “Libro d’ombra” di Tanizaki.

Nella sua fotografia la narrazione è tra vuoto e pieno, buio e luce, opposti che sono sempre mantenuti su una linea sottile di ambiguità, giocata su contrasti irrisolti.
La sua poetica è proprio l’arte della sfumatura, il riuscire a catturare la complessità di quello che ha davanti mantenendone le molteplici sfaccettature.

Non si tratta di una fotografia che semplifica e dà risposte, al contrario è una fotografia che lascia aperte le porte a molteplici interpretazioni e suggestioni.

Nelle sue opere si fondono passato e presente rendendo ogni scatto eterno. La luce caleidoscopica che sembra colpire in modo casuale i soggetti rappresentati, è l’intenzionale pennellata dell’artista che traccia sfumature di una luce semplice, intensa, morbida, penetrante della sua memoria, frutto di echi e risonanze dell’infanzia trascorsa nella sua Ravenna.

La fascinazione della linea sottile tra reale ed immaginato, è la linea di luce che separa il cielo dal mare e apre spazi ed orizzonti alla forza creativa dell’opera di Roversi.

English version

The photographic work of Paolo Roversi has distinguished the world panorama of fashion photography over the last fifty years.

Studio Luce, the name of the photographic studio in Paris embodies the poetics of the great photographer, who draws his main source of inspiration from the essentiality of the works of the painter Morandi, from the sentiments of Nadar’s De la lumière and from the “Book of Shadows” by Tanizaki.

In his photography the narrative is between full and empty, dark and light, opposites that are always maintained on a fine line of ambiguity, playing on unresolved contrasts.

His poetics focuses on the art of nuance, the ability to capture the complexity of what is in front of him while maintaining its multiple facets.

The photographs does not just simplify and give answers, on the contrary the photographs leaves the doors open to multiple interpretations and suggestions.

In his work, past and present merge, making each shot eternal.

The kaleidoscopic light that seems to randomly hit the subjects represented is an intentional brushstroke of the artist, who traces shades of a simple, intense, soft light penetrating his memory, the result of echoes and resonances of his childhood spent in his native town – Ravenna.

The fascination for the fine line between real and imagined is the line of light that separates the sky from the sea and it opens up spaces and horizons to the creative force of Roversi’s work.

|DAR www.dar.unibo.it |FAST https://corsi.unibo.it/2cycle/FashionStudies |CLAM www.moda.unibo.it
Graphics and Communication: ZoneModa Team – ZONEMODA
zonemoda.unibo.it #zonemodasocial

Reportage di Angela Sacchetto del team CLAM di ZoneModa

L’incontro è cominciato mostrando la fotografia del disegno della sua macchina fotografica. Disegno imperfetto, poco curato ma significativo. È lì infatti, dentro quella macchina fotografica, se pur fatta male, la “vera macchina fotografica”: il cuore.
Le macchine fotografiche le possiamo trovare ovunque, i fotografi no.
Mettere il cuore nella macchina, nel pennello, dentro qualsiasi cosa facciamo serve a rendere le cose personali, ci permette di esprimerci, di essere veri fotografi.

Per lui tutto è ritratto, tutto è autobiografico.
Isolare il soggetto al centro dell’immagine per togliere il superfluo che sta attorno, è un modo per mettersi in relazione con il soggetto, per conoscerlo, per permettergli di esprimersi.
Ha una fotografia infatti sotrattiva che gli permette di arrivare all’essenziale, all’anima delle cose.

Per più di 30 anni ha lavorato con macchina polaroid per il piacere di vedere le sue fotografie nascere.

Il suo studio di Parigi è solo uno dei tanti studi possibili. Lo Studio è ogni luogo dove lavora, ogni posto che fotografa, ogni istante che immortala con la sua macchinetta.
“Lo studio sono io”.

La fotografia di moda non si fa da soli, è un lavoro di squadra (stilista, modelle, parrucchieri ecc), unita da un unico obbiettivo e il fotografo è come il direttore di orchestra.

Le foto possono avere destini diversi anche se fatte nello stesso momento. La prima foto di uno shooting potrà diventare la foto più famosa al mondo, essere conservata al the Met, entra la seconda foto potrà solo che finire archiviata in un cassetto.
Questo è anche il bello della fotografia, l’incertezza.
Importante è dubitare i dubbi sono creativi, ti spingono verso l’immaginazione. La certezza è una porta chiusa per la creatività.
Gli incedenti che avvengono nelle foto sono regali del destino, sono inaspettati e arricchiscono il lavoro.
Bisogna sempre ndare verso l’incognito, spiega, andare dalla parte che non conosciamo, prendere rischi per scoprire la vera creatività.

Per finire ha fatto un intervento sul cambiamento nel tempo del mezzo fotografico da anologico a digitale. Ciò non ha cambiato la trasmissione di sentimenti, emozioni, la foto anche se fatta in maniera digitale rimane comunicativa. Spetta al fotografo saper comunicare, saper immedesimarsi nel soggetto, saper riflettere se stesso in ciò che immortala.


Anna Camilla Mortero

Al termine della lezione speciale tenuta da Paolo Roversi, professori, studenti e studentesse hanno avuto l’immensa opportunità di dialogare con il grande fotografo di moda. 

Le numerose domande che gli sono state poste hanno permesso, a tutti i presenti, di scoprire ed approfondire alcuni tra gli aspetti fondamentali della poetica del grande artista ravennate. 

Prof.ssa F. Muzzarelli: Quali sono gli elementi della Polaroid a cui sei maggiormente legato e che ti hanno spinto a sceglierla, in una maniera che potremmo dire emblematica, per la realizzazione  dei tuoi scatti? 

Paolo Roversi: A me della Polaroid piace tutto! Mi piace l’odore … inoltre quello che mi ha sempre affascinato è la sua unicità poiché le conferisce valore. Per di più mi piace il fatto che in questa macchina 20×25 si possa guardare dentro con due occhi e non solamente con uno.

Poi mi piace proprio la qualità del film, il fatto di poterlo sovraesporre di due o tre diaframmi creando così dei contrasti pazzeschi. 

Infine apprezzo soprattutto il fatto di poterla vedere immediatamente dopo lo scatto. 

Prof. F. Fabbri : Nel corso della tua carriera hai lavorato con moltissimi stilisti  molto diversi tra di loro, per citarne alcuni: Alberta Ferretti, Yohji Yamamoto, Comme des Garçons, per cui mi chiedevo come riesci a coniugare il comunicare l’anima del brand pur restando fedele alla tua poetica?

Paolo Roversi: Io dico sempre che il designer di moda è l’artista che scrive lo spartito mentre il fotografo è colui che ne suona le note. Per me è molto importante riuscire ad interpretare l’idea di donna che il designer desidera rappresentare. 

Per fare un esempio nel caso di Romeo Gigli si tratta di una donna un po’ romantica e fragile mentre nel caso di Comme des Garçons il brand si propone di veicolare un’idea interamente incentrata alla creazione ed alla rappresentazione di una creatività, talmente incredibile, da risultare per me davvero stimolante ed entusiasmante da interpretare.

Anna Camilla Mortero: Citando il testo “Una fotografia d’ombra” tu vieni definito un “ladro di anime”, come riesci ad entrare in sintonia con il soggetto fotografato e a rivelarne l’essenza?

Paolo Roversi: Non sempre ci riesco, probabilmente perché non è facile. 

Tuttavia cerco sempre di essere molto onesto, in primis con me stesso, e di aprire il mio cuore al soggetto cosicché il soggetto possa fare lo stesso con me. Questo momento magico diventa come uno scambio che potrei definire come una reciproca ed intima confessione.

Io mi apro al soggetto ed il soggetto fa lo stesso con me, così iniziamo a specchiarci l’uno nell’altro ed è proprio questo scambio di emozioni a rendere la foto magica. 

Non so se arrivo a toccare l’anima delle persone, eppure questo scambio che avviene tra me e il soggetto raffigurato viene percepito dall’osservatore ed anche esso si emoziona ed entra a far parte di questo momento magico. 

Se fai una foto annoiandoti o se il soggetto al momento dello scatto si annoia, lo spettatore osservandola si annoierà a sua volta, se invece accade qualcosa al momento dello scatto l’osservatore reagirà percependo la magia di quell’istante. 

Fondamentale è il momento dello scatto, quello è il momento cruciale.

Studente del CLAM: Secondo lei la fotografia digitale è in grado di comunicare, al pari della fotografia analogica, sentimenti ed emozioni che il soggetto rappresentato ed il fotografo provano al momento dello scatto?

Paolo Roversi: A mio avviso lo strumento tecnico non ha nulla a che vedere con la dimensione dei sentimenti e delle emozioni. Penso che si possa avere una bellissima fotografia, carica di emozioni, sentimenti e significati, anche con una macchina fotografica digitale. 

Io non ho mai avuto complessi legati alle diverse macchine fotografiche ed alle diverse tecniche poiché penso che si possano realizzare fotografie interessanti con qualunque mezzo. Non c’è differenza, non conta il mezzo tecnico, ciò che conta è esprimersi.

L’altro giorno mi è stato chiesto cosa sia per me lo stile: ho risposto che il vero stile è la propria anima. Il vero stile viene fuori lavorando ed essendo spontanei e sinceri in ciò che si fa e non fingendo di essere quello che non si è, poiché è fondamentale rimanere fedeli alle proprie radici ed alle proprie origini.

Studentessa del FAST: Per lei quanto è importante la matrice tempo? Il tempo è parte della foto e della sua costruzione?

Paolo Roversi: La matrice tempo era uno degli elementi, della Polaroid 20×25, che più mi appassionava poiché richiedeva obbligatoriamente un processo lento. Apprezzavo molto questa lentezza nell’esecuzione della fotografia. 

Tuttavia la mia concezione di tempo in fotografia è un’altra cosa. Per me il tempo in fotografia è molto importante poiché si pensa sempre alla fotografia come ferma ad un istante e lo stesso istante un momento dopo diviene passato. Dunque si pensa che la fotografia racchiuda solamente momenti ormai passati, invece per me non è così. 

Il tempo che viene fermato dalla fotografia è un tempo sospeso, cristallizzato … che la fotografia trasforma in un presente continuo.

Gli album di famiglia ne sono un esempio, le foto all’interno comunicano una presenza assente. 

La fotografia che tieni in mano diventa un piccolo fantasma silenzioso.

La fotografia oscilla continuamente tra l’assenza e la presenza, la vita e la morte, tra buio e luce … questi opposti combattono tra di loro continuamente.

Studentessa del FAST: Per lei che differenza c’è tra lo scattare fotografie con lo smartphone, in una dimensione familiare, e lo scattare fotografie da professionista? Sono due fotografie diverse? Quanto spesso scatta immagini attraverso l’uso dello smartphone?

Paolo Roversi: Pochissimo. Sono un pessimo fotografo se parliamo di scattare immagini utilizzando lo smartphone e sono anche un pessimo fotografo di famiglia, questo perché sono un fotografo che lavora sempre in studio e quasi sempre su commissione.

Ci sono tanti tipi di fotografia, ad esempio di famiglia, lo snapshot, la fotografia su commissione, il report di guerra … ed ogni tipo è valido.

Roland Barthes diceva che la fotografia diventa l’utilizzo che se ne fa, ad esempio se una fotografia la metti sul giornale diventa una foto di reportage, se invece che la appendi al muro diventa un’opera d’arte e se la metti in un album diventa una foto ricordo.

Prof.ssa F. Muzzarelli: In precedenza ci hai parlato di immagini che, pur appartenendo al medesimo servizio, hanno destini diversi. Alcune nascono sotto una buona stella, hanno successo e diventano celebri, altre invece nascono sotto una cattiva stella e perciò sono destinate a rimanere chiuse in una scatola. Come avviene ciò, che cosa succede dopo l’esecuzione del servizio fotografico? Con chi ti relazioni e fino a che punto devi negoziare la tua preferenza con quella del committente?

Il primo passo è realizzare il lavoro liberamente senza farsi condizionare dal committente.

Una volta che ho scattato delle fotografie nel modo più libero e personale possibile devo effettuare l’editing, tuttavia prima di passare a questa fase finale lascio passare qualche giorno,  lascio decantare le immagini. Faccio questo perché si tratta di una fase fondamentale. 

Con la fotografia analogica facevo dei contatti ed il processo era differente, mentre con la fotografia digitale scelgo le immagini a schermo.

Successivamente presento il mio editing al committente, il quale mi dà il suo feedback.

Prof.ssa F. Muzzarelli: Ci sono fotografi di moda e non hai quali ti sei ispirato o con i quali ti senti maggiormente in sintonia?

Parlando di fotografi di moda faccio maggiormente fatica a trovarne. I fotografi che mi hanno maggiormente ispirato sono August Sander, Diane Arbus e molti altri fotografi ritrattisti.

Prof.ssa Muzzarelli: L’incontro con la moda è stato occasionale o lo hai volutamente cercato?

L’incontro con la moda è stato assolutamente casuale! Quando sono arrivato a Parigi volevo diventare l’assistente di Guy Bourdin oppure di Helmut Newton.

Bourdin mi chiese di che segno fossi, bilancia risposi e proprio a causa di questo non mi prese. Non andava d’accordo con chi era nato sotto questo segno zodiacale.