L’Amour Fou tra Saint Laurent e Bergé
“Quando ci siamo incontrati, abbiamo stretto un patto. Come gli adolescenti romantici che, dopo avere praticato un taglio sul braccio, lo strofinano contro quello dell’amico perché il sangue si mescoli […] Eri così sottile, così giovane, così bello, così timido, così luminoso che ho capito di avere ragione, che avevamo ragione, che la vita stava per aprirsi davanti a noi. Non sapevo, e neanche tu, quale vita ci aspettasse, di cosa sarebbe stata fatta, ma ero sicuro che l’avremmo vissuta insieme. E così è stato.”
Pierre Bergé è il compagno che ciascuno di noi desidererebbe avere accanto. Non solo una volta, ma per tutta la vita, anche quando quella stessa vita a poco a poco ci lascia, fino a salutarci per sempre. Se fossimo stati il destinatario delle sue attenzioni, se fossimo stati Yves Saint Laurent, come lui ci saremmo abbandonati tra le braccia di Bergé, autorizzandogli di decidere per noi, permettendogli di organizzarci l’esistenza, senza mai domandare né conti né spiegazioni, senza mai mettere in discussione il nostro patto, ma provando nei suoi confronti una fede cieca. Bergé e Saint Laurent erano prima di tutto Pierre e Yves, erano due uomini, due persone strette in un rapporto unicum, che forse nessuno tra noi sarà davvero in grado di provare: “Ci amavamo, abbiamo cercato di unire le nostre due vite e, sorprendentemente la cosa ha funzionato per cinquant’anni. A volte, abbiamo vacillato, siamo inciampati, ci siamo rotti chi una gamba, chi un braccio, ma cinquant’anni dopo c’eravamo ancora e non ci eravamo lasciati. Forse è questo l’amour fou. L’amore di due pazzi.”. E Amour Fou è il titolo scelto da Pierre Thoretton per la primissima pellicola dedicata a uno dei più grandi creatori di moda del secolo scorso, narrato dalla voce del ricordo, quello intimo e segreto di Pierre Bergé.
L’incontro tra i due avvenne nel 1958, in uno spazio amaro ed eterico assieme, il funerale di Christian Dior: laddove la vita si ricongiunge alla morte, c’è un qualcosa che sembra continuare, una fine che si sovrappone a un nuovo inizio. Yves Saint Laurent, nato in Algeria nel 1936 e trasferitosi a Parigi appena diciottenne, fu infatti – giovanissimo e timido – il successore dello stilista scomparso, strabiliando il mondo con le sue intuizioni, con la sua rivoluzionaria lingne Trapèze. Pochi anni più tardi, nel 1962, aprì la maison omonima di haute couture, grazie all’aiuto economico di J. Mack Robinsonin e in collaborazione a Pierre Bergé, allora mercante d’arte, che prima di conoscere Yves aveva fatto la fortuna di un altro giovane pittore, Bernard Buffet, suo pupillo.
“Ricordo il giorno in cui abbiamo deciso – ma mi domando se si decide davvero in casi come questi – che le nostre strade si sarebbero unite per formarne una sola. Ricordo di averti detto che non eri più a capo della casa di moda per cui lavoravi e ricordo la tua reazione: «Allora» mi hai risposto «ne fonderemo una insieme e tu la dirigerai». Ricordo la ricerca affannosa dei soldi, gli ostacoli che sorgevano dappertutto, ma per te avrei affrontato rischi anche maggiori. […] Come sono passati in fretta, quegli anni, e come hanno segnato un’epoca le tue collezioni.”
Il loro amore era un amore assoluto, totale, incondizionato, un profondo contenitore di altri mille piccoli amori: il teatro, la letteratura, Marcel Proust, Verlain, l’arredamento, il giardinaggio, l’arte. A testimoniare la durata della loro relazione, a conferirgli un sigillo di valore, sono proprio le 730 opere d’arte raccolte in una collezione personale che trasformò le loro dimore, tra Marrakech e Benerville, in musei degli affetti, castelli di memorie, nascondigli magici e sicuri. Nel film, il regista mostra come ogni quadro imballato, ogni oggetto sottratto al suo ambiente “naturale”, rappresenti uno strappo crudele e inesorabile, una perdita necessaria, la traduzione di un’assenza. Oggetti cari e preziosi a cui “l’asta del secolo”- organizzata da Bergé nel febbraio 2009 – donerà un ultimo respiro, un ultimo fragile entusiasmo.
[…]
Fou era ed è il loro amore – folle e passato – ma fou era soprattutto Yves, un uomo che non amava la sua epoca, pur avendola compresa più di ogni altro, vivendo unicamente per il proprio lavoro. La casa di moda venne chiusa nel 2002, con un’ultima sfilata al Centre Pompidou – “Fra tutti i grandi sarti, sei stato il solo ad avere aperto il libro della tua vita, a cominciarlo dal capitolo 1, a scriverlo, e a mettervi la parola Fine.” – ma tuttavia il marchio sopravvive tutt’oggi grazie al gruppo Kering. Dopo una lunga malattia, un tumore al cervello, lo stilista si spense a Parigi il I giugno del 2008: “La tua morte è stata, come mi avevano detto i medici, serena. Perfetta. Ma esistono le morti perfette?”. Non so se ci sia qualcuno che possa saperlo, quel che è certo è che la perfezione, in questa storia di amore, arte e alta moda, ha avuto la meglio: la perfezione degli abiti di YSL – espressioni massime dell’universo del bello – e la perfezione di un binomio – Yves e Pierre, insieme, due vite ad incastro.
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Il brano è tratto dal testo di laurea di Cecilia Cestari, Lo stilista e il manger: un unico binomio. Creatività e management a confronto, Università di Bologna, Rimini 2012, pp. 24-26
Citazioni: Bergé, P. [2008], Lettres à Yves, Paris, Gallimard ; trad. it. Lettere a Yves Saint Laurent, Ed. Archinto, 2012, p. 10-44