La sensibilità della cultura russa
Giovedi 2 Dicembre, Pietro Angelini , scrittore orientalista e manager culturale, viene invitato a partecipare al progetto del Clam di quest’anno sul Made in Italy; la conferenza porta come titolo : “La scena del fashion italiano in Russia: mercato attori e consumatori” .
Tra cultura e Manager Culturale
Probabilmente di “manager umanistico” non si sente tanto parlare, eppure deve essere un mestiere avvincente; è un uomo che viaggia, che arricchisce se stesso con nuove conoscenze di altri paesi, e arricchisce nuovi paesi con le sue conoscenze. E’ un individuo che vende e istituisce rapporti economici, e culturali.
La cultura entra in gioco infatti, con è più dell’ economia. La cultura di un altro paese, si può guardare da lontano, si può (e si deve…) conoscere, ma non si può copiare. Per “copiare una cultura” (mi fa brutto solo scriverlo) bisognerebbe riviverla, e ciò è chiaramente impossibile.
Angelini inizia così la sua coferenza, raccontando di come lui ha deciso di conoscere la cultura Russa, e cercando in un paio di ore, di far cadere il falso pregiudizio verso l’uomo russo, che “compra tutto, perché ha i soldi, senza distinzione”.
Ma iniziamo per gradi.
Il simbolo della Russia
E’ da qui che parte il nostro viaggio. Un corpo di un’aquila con due teste. Che altro paese è rappresentato un simbolo che in realtà ne contiene due? Esagero se dico che ci può essere un richiamo enciclopedico al tema del doppio? Esagero se dico che la Russia è talmente vasta da poter contenere in se “almeno” due personalità, e che questo non poteva non essere già presente in ciò che la rappresenta agli altri paesi? In realtà vedremo come un solo corpo (quello dell’aquila) rappresenti una solo paese, una sola terra, ma che quest’ultima, vastissima (circa 17 milioni di km quadrati), e le due teste, rappresentino le due “anime” del paese, quella orientale e quella occidentale, europea, forse quest’ultima più ricercata da noi italiani, ma sicuramente non meno importante della prima.
Dunque, una terra immensa, gigantesca. La Russia è il doppio dell’America, ha 9 fusi orari, ingloba decine di costumi e usi diversi, per non parlare delle geografie rurali che differiscono per suolo e clima, e che implicano anche la differenza di modi e stili di vita delle popolazioni.
La grandiosità di questo paese, e la differenziazione ci porta a dover fare uno sforzo. Angelini dice:
“Noi, per vedere il mondo, dobbiamo fare un passo indietro, come estraniarci.”
“C’è sempre qualcosa di più lontano” : l’ Altrove.
Tutto ciò che reputiamo “troppo grande”, “troppo oltre” spesso ci spaventa, ci da l’idea proprio di una “vertigine” di un’ “incapacità” nostra, di cogliere la “cosa”, di “renderci conto di quella variabile, per noi, troppo estesa”.
E questo è stato rappresentato in mille modi dagli artisti, russi e non. Esiste da sempre un’altrove che noi non riusciamo a cogliere; che ci fa sentire come sull’orlo di quel precipizio: ed ecco la Vertigine.
Angelini ritrova nella letteratura, e nella psicologia Russa il modo migliore per esplicare questa sensazione di perdita, di insicurezza, di quel “Non si sa da dove vengo, ne dove sto andando”.
Sceglie così un brano di Gogol, che grazie alla metafora e facendo una trasposizione dal piano terreno al piano mentale di una geografia cosi vasta come quella russa, riesce a spiegare quella “sensibilità che è sempre sull’orlo dell’abisso”:
Nell’androne d’una locanda della città di N., capoluogo di governatorato, entrò una graziosa, piccola vettura a molle, di quelle in cui viaggiano gli scapoli: tenenti colonnelli a riposo, capitani in seconda, proprietari di campagna che possiedono un centinaio d’anime di contadini: in una parola, tutti quelli che si dicono signori di mezza taglia. Nella carrozza sedeva un signore, che non era proprio un bell’uomo, ma non era neppure di brutto aspetto, né troppo grosso né troppo esile; non si poteva dire che fosse anziano, ma neppure, d’altronde, che fosse troppo giovane. Il suo arrivo non sollevò in città il minimo scalpore, e non fu accompagnato da alcunché di singolare: solo due mužík russi, piantati sulla porta d’un’osteria di faccia alla locanda, fecero qualche osservazioncella, che si riferiva del resto piuttosto alla carrozza, che non a colui che vi sedeva dentro. – Non vedi? – disse uno dei due. – Guarda che ruota! Che dici, tu: ci arriverebbe quella ruota lí, mettiamo caso, fino a Mosca, o non ci arriverebbe? – Ci arriverebbe, – rispose l’altro. – Ma fino a Kazàn’, dico io, mica ci arriverebbe? – Fino a Kazàn’ non ci arriverebbe, – rispose l’altro; e con questo la conversazione ebbe termine. C’è ancora da aggiungere che nel momento in cui la carrozza s’accostava alla locanda, un giovanotto s’era trovato a passare, in bianchi calzoni di bambagino assai stretti e corti, con un frac che aveva grandi pretese di moda, e lasciava risaltare la pettina della camicia, chiusa da una spilla di Tula con pistola di bronzo. Il giovanotto s’era voltato indietro, aveva guardato la carrozza, s’era acchiappato con la mano il berretto, lí lí per volar via con una ventata, e se n’era andato per la sua strada.
[Nikolaj Vasilevič Gogol, Le anime morte, traduzione di Agostino Villa, Oscar Mondadori, 1965.]
La località è sconosciuta, i due personaggi che rimangono “indescritti”, non sono ne belli ne brutti. E’ poi, facilmente riconoscibile, il simbolo della ruota. La ruota come qualcosa che si muove, che cammina e che viaggia. Quando poi ci si pone la domanda chiave, che si basa proprio sull’altrove, sul concetto dell’oltre, si rimane estasiati da quanto la letteratura renda sublime e preciso il sentimento umano.
“Arriverebbe fino a Mosca?” .“Si”.“Ma fino a Kazan?”.“No”.
C’è sempre qualcosa di più lontano. Ci sarà sempre un altrove.
Solo un ragazzo è descritto con minuziosa precisione, Angelini lo definisce un vero e proprio “ricamo iconico” : ma anche questa volta, non appena è stato descritto, scompare, sparisce, sfugge dal romanzo anche questo “giovanotto”. Gogol, e con lui Angelini che ci leggeva ad alta voce l’ incip, probabilmente ci voleva dire che, appena sei convinto di aver ottenuto qualcosa, appena sei convinto di aver capito la Russia, appena hai definito qualsiasi cosa, è quello il momento in cui ti sfugge, è quello il momento in cui ti trovi di fronte l’altrove, il vasto. E qui la Russia ne Rappresenta la più valida geografia urbana.
Il giovanotto del racconto, se ne va, e noi non sapremo mai dove.
La Russia: Tra Numeri e Giovani
E’ un paese complesso che è dovuto diventare quindi un paese pratico. Ora come ora è una federazione di stato, gode di autonomia, contiene in se molti climi diversi (da quello secco a quello gelido della Siberia) e numerose religioni. Mosca, si può dichiarare un miscuglio delle varie etnie.
Questo comporterà una frammentazione del mercato, in quanto, nonostante ci si trovi nello stesso paese, culture diverse presuppongono gusti scelte e stili di vita differenti. Una collezione di moda che ha successo a Mosca, quasi sicuramente non la avrà tra le popolazioni del Caucaso.
L’ottanta per cento della popolazione vive distribuita dagli Urali all’Europa Occidentale. E il settantacinque per cento vivono in città. Anche se spesso noi consideriamo solo Mosca e San Pietroburgo come grandi città russe, c’è da sapere che ben altre 11 sono di rinomata importanza per quanto riguarda l’economia del paese, e queste ultime hanno tutte più di un milione di abitanti. Inoltre, diversamente dalla nostra cara e vecchia Italia, la popolazione russa è giovane! Lì il settanta per cento delle persone ha tra i 15 e 65 anni: e questo nel mercato corrisponde al cosiddetto “consumatore cosciente”, ovvero chi decide “cosa e quanto comprare”.
Tra storia, moda, e credenze
La Russia, come Stato Organizzato, è uno stato recente, nasce più o meno nel 1500. Il rapporto instauratosi con il Made in Italy, è stato preceduto però con quella che era un’altra super potenza della moda del 1600, la Francia. Siamo a metà del 1600, prima della Rivoluzione, e dalla Francia venivano inviate le famose “bambole”, il raffinato cibo, e soprattutto… il francese! La lingua, quindi. L’aristocrazia russa, non smetterà mai di parlare il francese, lingua d’èlite, di eleganza, relegando il russo a servitori, schiavi, e popolo. Una curiosità, riguardante il cibo francese, è che ancora oggi in Russia, si servono le insalate come prima pietanza, tipica usanza francese, ricorda Angelini.
In questo modo, però la cultura russa si stava autolimitando, fino danneggiarsi. Inneggiando all’Occidente, privilegiando culture riti e costumi altri, stava arrivando ad un eccessiva esterofilia. Iniziano pian piano a rivelarsi i primi problemi con la Francia. Napoleone invade la Russia. E inoltre la politica francese lascia dei seri dubbi nella mente dei sovietici.
Passando in rassegna qualche cambiamento radicale nella storia della moda russa si parte dal preconcetto che oggi abbiamo del uomo russo, il quale troppo spesso è visto come “l’uomo passivo, con i soldi, che compra tutto, il bello e il brutto, senza differenza”.
In realtà invece, si capirà come è proprio della loro cultura, prelevare idee dagli altri paesi e rielaborarle. Fino a creare poi, delle vere e proprie esplosioni, che evidenzieranno nuove personalità nel mondo dell’arte, della letteratura, e oggi come oggi anche nella moda.
La moda in Russia parte dal campo del teatro, e un valido esempio è proprio questo stilista-scenografo, Ertè, che grazie, a stampe ricevute in dono dal padre ammiraglio di Marina e viaggiatore, e a una buona amicizia con Poiret, riesce e a collaborare alla nascita dell’Art Decò.
Se durante il periodo aristocratico le differenze di classe si denotavano nell’abito, la moda sovietica adottò un sostanziale cambiamento dopo la guerra quando il grigio diventò il colore adottato da tutti, senza differenza. Una moda rigida, austera. Si poteva optare al massimo per un “marrone tendente al fango”, ma il grigio andava per la maggiore.
Dunque, il grigio, ma perché viene subito da chiedersi? La Russia, ci aveva detto Angelini che è un “paese pratico”, e questa può esserne una chiara dimostrazione.
L’ “idea” di adottare un unico colore promuove anche il fatto di avere poche unita produttive e di conseguenza di addensarne il lavoro. Se il progetto dell’abito era uno solo, si massificava il lavoro, e il prodotto finito sarebbe andato bene per tutti, “senza tanti problemi”.
Solo dopo il 1980, quando questa “impossibilità di esprimere la propria identità” si fece troppo opprimente, e grazie alla Perestrojka ci furono dei sostanziali cambiamenti.
Una Collezione di Rottura: Katia Filippova
La prima collezione di moda, considerata non solo avanguardistica, ma proprio di rottura con il passato fu di Katia Filippova. La Filippova sosteneva che il suo paese si fosse fermato al periodo delle prime avanguardie, e che dopo quegli anni fosse stato solamente caratterizzato da apatia o pomposità. Rischiando il tutto per tutto, iniziò a creare da quello che possedeva. Si può dire che, senza smentire la sua cultura, reinventa dal “già fatto”. La Filippova riprende il grigio delle uniformi e crea dei top, fa modifiche da quello che aveva a disposizione. La sua prima collezione era composta da soli sei pezzi, ma fu un successo.
Ci fu minuto di silenzio e poi un applauso stratosferico. Un guazzabuglio di stili, un miscuglio di etnie di colori diversi in quegli abiti, che in Russia non si vedevano davvero da inizio 1900.
La Filippova così facendo rappresenta la “vera” Russia. Le due teste dell’aquila. Le modelle indossavano un kimono, che, dice Angelini, le facevano sembrare delle “mummie mesopotamiche”, con il particolare ,mai visto prima in quel paese ,del “rossetto nero”. Richiamavano degli alieni venuti da chissà dove. Ricordiamoci infatti, che la Russia fu la terra dei gulag, tanto quanto la Germania fu terra dei lager; conseguentemente una collezione di moda come questa descritta sopra, se a noi oggi può sembrare ordinaria, in Russia non aveva nulla di naturale e abituale.
Siamo agli anni Novanta : la Russia entra a far parte del mercato europeo, e l’Italia viene vista come esempio, il made in Italy attrae, noi rappresentiamo la vera “magia della moda, del cibo, dei vini di qualità”. Il Made in Italy e’ visto come una magia. In Italia stavano crescendo piccole o medie aziende, anche in piena campagna, in periferia, da luoghi dove era quasi impensabile potesse nascere il prodotto griffato. E questo ai russi piaceva. La capacità, la simpatia dell’italiano, dava un plusvalore al nostro prodotto.
La sensibilità dell’ Uomo Russo
Il russo si nasconde spesso dietro ad una corazza. Fu, come si è visto, un uomo dalle forti tradizioni, e conservatore. Ha avuto fortemente radicata l’idea dell’abito “stessa taglia, stesso modello, stesso colore” per molti anni. Angelini, ci fa riconoscere che dietro tutto questo, c’è invece una forte sensibilità dell’uomo russo. Per esempio, si vede come un brand forte come Diesel, oggi come oggi si è dovuto ritirare dal mercato russo; Perché?
Perché grandi marchi approdano in Russia (facendo notevoli investimenti) e poi sono costretti a ritirarsi per mancanza di guadagno vero e proprio? Perché come l’italiano, come il francese, anche il russo sceglie, seleziona, capisce cosa gli piace e cosa no. E qui torna poi il problema della vastità di quel paese, “ciò che piace a un abitante del nord degli Urali quasi sicuramente non piace a uno del Sud”. Spesso le piccole e medie imprese hanno la meglio., sui grandi brand. E’ dunque vero che la domanda è fortissima, ma non è vero che i russi prendono e accettano tutto.
Gli Shopping Mall di Mosca
Sono tre le società che oggi distribuiscono le grandi griffe, perlopiù italiane, in Russia: Bosco, Mercury Trading e Crocus Group. Si spartitscono i migliori marchi, decidendo chi devono rappresentare sul mercato. Alcune firme famose come Chanel stanno iniziando a operare sul mercato da sole, ma la maggior parte finisce con l’affidarsi a queste tre grandi società che conoscono bene l’ostica burocrazia russa.
La strategia che li accomuna è quella di accaparrarsi il maggior numero di brand possibili, ognuno dei tre gruppi cerca di avere l’esclusiva sugli altri. L’investimento iniziale, è alto, ma il ritorno è grandioso spiega Angelini.
Crocus Group detiene il terzo posto ha marchi del calibro di Renzo Rossi, Missoni ecc. E’ situato in una zona di periferia, alle porte di Mosca. Esteticamente è molto bello.
Il secondo posto spetta a Bosco dei Ciliegi, che si trova in pieno centro, sempre a Mosca, nei pressi della Piazza Rossa. È di proprietà di Kusnirovich, ma il nome dato allo store ne denota una certa italianità. E’ situato nello stabilimento che apparteneva ai grandi magazzini costruiti nel 1700. Questi infatti, se inizialmente erano proprietà dello stato, furono venduti e privatizzati. L’idea particolare è che “Bosco dei Ciliegi” ha la sua sede “finanziaria”in Italia e ha scelto come banca Unicredit, cosa che gli ha permesso investimenti iniziali più alti a costi minori, con interessi più bassi a quelli che invece avrebbe trovato se avesse scelto una banca e una sede russa. Sono aspetti che possono anche sembrare irrilevanti, ma che invece, secondo la mia opinione rivelano una forte spregiudicatezza dell’uomo russo, forse troppo spesso sottovalutato, anche culturalmente.
Ne “Il Bosco dei Ciliegi” noi possiamo trovare griffe come Kenzo, Ferretti, Etro ecc. E non mancano bar, e ristoranti, tra i quali anche uno con chef italiani. Bosco dei Ciliegi è presente non solo a Mosca, ma anche a San Pietroburgo, Ekaterinburg e perfino a Milano dove, in via Manzoni, ha inaugurato una boutique di Kenzo.
Il primo posto spetta però a Mercury che detiene marchi come Prada, Armani, Gucci, Tods, Zelda, Bulgari, Valentino, Cavalli, Versace, Pucci, Marni, Balenciaga, ma anche brand più democratici come Just Cavalli, Malo, Patrizia Pepe ecc. Questo è istituito secondo il format dello store americano, ovvero department store, con la “sequenza a piani” (piano terra cosmetici, primo piano accessori, ecc). Ecco il marchio Mercury:
I proprietari di Mercury a Mosca sono proprietari di due negozi monomarca Ferrari e Lamborghini nella via principale di Mosca, e di numerose gioiellerie sparse per la città. E’ necessari ricordarsi, che l’uomo russo, spenderebbe qualsiasi cifra per un ororlogio di lusso.
Nuovi (e giovani) stilisti russi
Si è delineata una geografia territoriale, una geografia umana, un brevissimo film storico della Russia. Siamo risaliti grazie a Angelini ai cambiamenti più salienti del costume russo, dell’abito e delle caratteristiche dell’uomo russo, e abbiamo intuito che egli non copia, non accumula ma “ guarda e rielabora”, che ha grandi potenzialità anche per il futuro prossimo. Perciò per tutti coloro che fossero interessati a questa, che è chiamata “la seconda generazione di stilisti” qui possono ritrovare qualche nome:
Valentine Yudashin
Denis Symachov
www.denissimachev.com
Lyudmila Mezentseva
Un argomento di questo genere è abbastanza insolito nella nostra facoltà, almeno secondo la mia opinione, di conseguenza vorrei ringraziare Pietro Angelini per le informazioni che ci ha trasmesso e tutta l’organizzazione dell’università che da spazio anche a personaggi innovativi, che fanno mestieri diversi e interessanti come questo del manager culturale.
Veronica Piersanti